Nell’attuale periodo storico, la crisi di un’azienda non è un’eventualità rara, ma da considerarsi più fisiologica che patologica. Questa consapevolezza ha condotto il Governo a varare la recentissima riforma del fallimento.
Il processo di riforma infatti non può non tenere da conto anche le sorti dei dipendenti di un’azienda che si trova a dover fare i conti con una fase di crisi.
Ed infatti, se è vero che la crisi di impresa non può considerarsi un’evenienza rara, allora non potrà nemmeno essere considerata una valida giustificazione per il licenziamento dei lavoratori. Ad affermarlo è stata una recentissima sentenza mediante la quale la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che la crisi aziendale ed il contenimento dei costi non bastano per giustificare il licenziamento del dipendente, senza provare che il posto di lavoro è stato soppresso (Sentenza n. 24882 del 23.10.2017). Ma procediamo con ordine.
In questi anni di crisi è di forte attualità il tema del licenziamento individuale dettato dalla necessità di procedere ad un risanamento aziendale. Come noto, infatti, il licenziamento individuale del lavoratore subordinato è attivabile dal datore di lavoro per giusta causa o per giustificato motivo.
Il licenziamento per giusta causa è un licenziamento di tipo disciplinare, che si giustifica per condotte del dipendente talmente gravi da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro per neanche un giorno, esso avviene perciò in tronco e senza preavviso.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, al contrario, non è un licenziamento di tipo disciplinare. Esso, infatti, non è disposto per ragioni soggettive e quindi dovute a comportamenti del lavoratore, ma è dipendente da cause oggettive, riconducibili a motivazioni economiche aziendali. Il giustificato motivo di tipo oggettivo è determinato, infatti, dall’esigenza di modificare la struttura aziendale, esigenza individuata dal datore di lavoro dopo aver constatato delle significative difficoltà all’interno della propria attività.
Ebbene sulla scorta di questa nota distinzione la Corte di Cassazione, con la sentenza richiamata, ha chiarito che non sussiste alcuna equazione tra stato di crisi aziendale e giustificazione del licenziamento. La crisi aziendale ed il contenimento dei costi, realizzato attraverso la contrazione del numero dei dipendenti occupati, infatti, non legittimano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo se l’azienda non fornisce la prova che il posto di lavoro è stato effettivamente soppresso.
Ciò è quanto affermato dalla Suprema Corte, che ha quindi chiarito come il licenziamento per giustificato motivo oggettivo possa considerarsi valido solo quando il posto di lavoro del destinatario del provvedimento datoriale (vale a dire del licenziamento) risulti venuto meno per effetto della soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto di lavoro del dipendente. È necessario, inoltre, che non sia possibile una diversa collocazione del lavoratore all’interno dell’impresa così come ristrutturata nei suoi aspetti tecnico-organizzativi. In tali casi, spetta al datore di lavoro dimostrare che è impossibile reimpiegare il dipendente in altre posizioni o con diverse mansioni.