REPECHAGE POSSIBILE ANCHE SU MANSIONI INFERIORI

Qualora il lavoratore sia stato adibito, durante il rapporto, come via residuale, ad attività appartenenti ad un livello professionale inferiore, l’assolvimento dell’obbligo di repechage in capo al datore di lavoro, per verificare l’esistenza di mansioni alternative in ambito aziendale utili ad evitare il licenziamento, va effettuato anche con riferimento a posizioni dequalificanti.

Ciò è stato espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 13379/2017, nella quale si è precisato che il contemporaneo esercizio da parte del dipendente, previsto in esubero, di mansioni proprie della sua qualifica di inquadramento e di altre mansioni  connotate da minori competenze professionali equivale ad un consenso implicito del lavoratore al demansionamento; ne consegue che il datore di lavoro non può giustificare la mancata attribuzione di mansioni professionalmente inferiori, quale alternativa al licenziamento sull’assunto che il dipendente non aveva espresso il proprio assenso.

La Cassazione muove dal presupposto per il quale la verifica che il datore di lavoro deve compiere in ordine alla possibilità di offrire al lavoratore una mansione alternativa al fine di evitare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non va limitata alle mansioni equivalenti, ma può ricomprendere mansioni anche inferiori.

Così infatti come la sopravvenuta infermità permanente del lavoratore può giustificarne il licenziamento a condizione che non sia possibile assegnargli altre mansioni equivalenti o inferiori, ugualmente deve essere interpretato l’obbligo di repechage che, a seguito di riorganizzazione aziendale, comporti la soppressione della posizione. In entrambi i casi, l’estensione dell’obbligo di repechage alle mansioni inferiori si giustifica con la prevalenza dell’esigenza di tutela della conservazione del posto di lavoro rispetto a quella di salvaguardia delle competenze professionali del singolo.